mercoledì 28 settembre 2011

Cause e conseguenze della crisi finanziaria mondiale

Quali saranno le ripercussioni della recente e grave crisi del mondo finanziario sull’economia reale e sul mondo del lavoro? E quali le cause e i motivi delle difficoltà dei giornalisti nel garantire un’informazione il più possibile libera e responsabile, accessibile e comprensibile ai più? Ne abbiamo parlato con Ferruccio de Bortoli, direttore responsabile del Sole 24 Ore, che terrà una conferenza sull’economia italiana all’Università di Zurigo il 6 novembre prossimo.

Cominciamo con il trattare subito un argomento che in questo ultimo periodo sta interessando il mondo intero: la crisi finanziaria. A suo avviso quali sono le ripercussioni che tale crisi avrà sulla nostra economia?

A tal riguardo bisogna innanzitutto fare un distinguo e ricondurre le ripercussioni che questa crisi finanziaria avrà sulla nostra economia a due ordini di motivi. Intanto è da considerare, in primis, l’impatto che si avrà sull’economia reale e sui consumi. Io ritengo che i Paesi (in particolare l’Italia e la Germania), che hanno una più forte industria manifatturiera, riusciranno a reggere maggiormente questa crisi; laddove le istituzioni finanziarie siano riuscite a mantenere un legame più forte con il territorio, (e ciò è avvenuto in molti Paesi europei), esse riusciranno a non trasmettere alle imprese le difficoltà di credito e di finanziamento cui sono sottoposte in questo momento.

La seconda sfida riguarderà il modo attraverso il quale vivremo questa nuova fase dell’economia mondiale, fase che sarà più legata al lavoro e al prodotto fisico, più attenta ai veri valori della società e della vita, in particolare il lavoro, e meno disposta ad accettare disparità di retribuzione tra la finanza e l’industria.
Insomma, si creerà una nuova etica del lavoro ed è per questo che la grande sfida non è tanto quella di gestire al meglio la ricaduta di questa crisi finanziaria, quanto quella di riscrivere bene le regole della situazione di normalità che speriamo di poter creare nei prossimi anni salvando l’economia di mercato, le regole di mercato e il rapporto corretto tra la politica e l’economia.

A proposito di lavoro, in America si sono già registrati i primi effetti della crisi e tanti lavoratori sono adesso disoccupati; anche noi dovremo aspettarci delle conseguenze simili?

Il problema è che noi non sappiamo di quanto diminuiranno i consumi e di quanto rallenteranno la domanda interna e quella internazionale. Le economie europee sono in grado di reggere meglio i contraccolpi della crisi finanziaria grazie all’euro, che si è dimostrato uno scudo efficace, tant’è vero che i due Paesi che sono rimasti fuori dall’euro, la Danimarca e la Svezia, stanno pensando di ricongiungersi con l’Unione monetaria europea. L’industria e i prodotti dei nostri Paesi hanno trovato accoglienza e preferenza anche presso i nuovi Paesi emergenti, le nuove classi medie che si sono create nei Paesi arabi e nei Paesi del Sud asiatico; il nostro problema sarà quello di specializzarci sempre più, recuperare competitività, soprattutto competitività del lavoro e riuscire a dare (e questa credo che sia una particolare e specifica attitudine italiana), un prodotto legato ad un servizio che sarà sempre di più ritagliato sulle esigenze del consumatore finale.

Condivide le misure che il governo italiano ha approvato per affrontare questa grave crisi?

Il governo italiano è intervenuto tempestivamente nell’assicurare la garanzia dei depositi dei risparmiatori italiani che, tra l’altro, era già più alta rispetto a quella garantita da altri Paesi europei, considerato che i depositi italiani sono garantiti fino a 103.000 euro. Ha poi garantito il finanziamento per le banche, d’intesa con gli altri Paesi europei e la Banca Centrale Europea, è pronto a ricapitalizzare quelle banche che ne avessero necessità, nulla ha ancora fatto per certe banche italiane che, con l’eccezione di Unicredit, non hanno avuto, finora, particolari problemi. Credo che comunque si porrà il problema di intervenire anche in tal senso, per evitare che le banche italiane possano essere ulteriormente svantaggiate rispetto a quelle straniere come, ad esempio, quelle francesi ed inglesi che riceveranno un sostanzioso aiuto in conto capitale da parte delle casse statali.

Analizzando le cause della crisi che ci troviamo ad affrontare, Lei ha accennato, in alcuni suoi interventi, ad una “finanza autoreferenziale”. Ci vuole spiegare a cosa si riferisce?

Tra le cause che hanno contribuito al crollo dei mercati finanziari delle banche, in particolare degli Stati Uniti, c’è anche il fatto che i manager, in particolare quelli del settore bancario, delle banche di investimento, hanno spesso dimostrato una scarsissima lungimiranza e sono stati in qualche modo ingannati dalla loro stessa sicurezza.
L’esempio che io trovo più qualificante è quello del vertice della Compagnia di assicurazione più grande al mondo, l’AEG, che ha scoperto nella tarda serata di una domenica di non avere la liquidità sufficiente per arrivare al mercoledì successivo; e questo, ripeto, da parte della compagnia di assicurazione più grande al mondo che, si ritiene, debba essere abituata a valutare i rischi.

Secondo Lei, quale potrebbe essere il sistema economico di riferimento in questa fase?

Credo che in questa fase gli esperimenti di economia sociale di mercato che sono fatti soprattutto in Germania, ma anche nella stessa Francia, possono essere degli esempi utili per capire che bisogna procedere nel rispetto della libera iniziativa e dell’economia di mercato, per far sì che emergano soggetti finanziari ed economici che hanno un maggiore rispetto del contesto sociale nel quale vivono.

Passando un attimo all’informazione, parlando dei giornalisti Lei ha affermato: “Siamo diventati servi e concubini del potere, facciamo più parte del gioco, vogliamo fare politica, influenzare la formazione dei nuovi partiti (…) mentre, invece, dovremmo ritornare a fare i giornalisti”. E’ una visione alquanto drammatica della stampa italiana…

Questa è una frase estrapolata dal contesto di una serie di risposte che ho dato in un libro dedicato all’informazione (L’informazione che cambia, Editrice La Scuola, collana «Interviste» diretta da Paola Bignardi; ndr); in questo libro io ho più volte difeso non solo la funzione ma anche i meriti che la stampa, in particolare quella economica e non soltanto italiana, ha avuto nel promuovere il mercato, la concorrenza, il merito, una certa democrazia economica e la democrazia delle regole.
Al di là di questi meriti, che io ho sottolineato, ho comunque segnalato alcuni rischi e alcuni pericoli. Il principale di questi rischi è che il giornalista finisca per non fare solo ed esclusivamente il proprio mestiere, ma che diventi troppo intimo amico, e persino complice, delle proprie fonti, e quindi non abbia più la necessaria terzietà e la necessaria libertà per poter descrivere al lettore come stanno esattamente le cose.

Il suo rimprovero mi pare vada anche agli editori…

Gli editori sono parte di questo gioco e la mia critica è rivolta al fatto che essi pensano che la libertà, l’indipendenza e la competenza dei giornali non siano elementi fondamentali per il livello e l’importanza dei giornali medesimi, che non siano, in sostanza, fattori importanti; gli editori pensano anche che qualche volta i giornalisti siano fungibili; opinione che non condivido, anzi; i giornalisti sono specializzati e la loro qualificazione ed indipendenza vanno rispettate.
Gli editori potrebbero fare meglio il loro lavoro avendo un po’ più di coraggio editoriale, nel senso di fare un po’ di più prodotti diretti al lettore, piuttosto che la pubblicità dei loro affari personali.

Ma in un mondo così fortemente influenzato dalla politica e dal potere in generale, Lei pensa che ci sia ancora spazio per una comunicazione veramente libera e responsabile?

Credo che ci sia spazio e che questo spazio debba essere più conquistato dagli stessi giornalisti e dagli stessi editori e non lasciato, invece, allo stesso potere politico ed economico.

Lei ha criticato il disegno di legge sulle intercettazioni: pensa che limiti il diritto del lettore ad essere informato e il diritto del giornalista di informare?

Quando si tratta di regolare situazioni nelle quali alcune informazioni di natura esclusivamente privata, vengono raccolte all’atto di un’inchiesta con degli elementi pubblici, sono d’accordo sul fatto che esse non debbano comparire sui giornali; quindi, non ritengo sbagliato vietare questo tipo di intercettazioni e, soprattutto, quel tipo di diffusione delle notizie in questione.
Ritengo, invece, molto pericoloso che si voglia impedire di dare notizia delle inchieste in corso aspettando l’udienza preliminare, poiché questo significherebbe ridurre il livello d’informazione di un Paese.

Il dibattito e l’informazione in merito alle scelte economiche di un Paese è, per i più, di non immediata comprensibilità, perché spesso gli economisti usano un linguaggio ermetico, quasi ostile. Si potrebbe rendere anche questo tipo d’informazione comprensibile un po’ più a largo raggio o, vista la complessità della materia, il linguaggio accademico usato dagli economisti è inevitabile?

No, è evitabilissimo; occorerebbe una maggiore attenzione da parte di giornalisti e di esperti che si occupano di economia e di finanza, che dovrebbero scrivere un po’ di più per i lettori, e in particolare per i lettori che non hanno le loro stesse conoscenze, e un po’ di meno per le loro fonti o per i loro colleghi, e di giornali e di università.

A proposito di università, lei ha dichiarato che preferirebbe che le università fossero pagate esclusivamente dalle famiglie. Ma non pensa che così resterebbe tagliata fuori dal diritto allo studio un’ampia fascia di società?

Io ho sostenuto che spesso l’idea che l’università sia totalmente gratuita finisce per svalutarla.
Credo che in qualche modo si debba ridare importanza all’università e all’istruzione universitaria facendo pagare la buona istruzione, pur garantendo, con l’uso più largo di borse di studio, il sostentamento, così come dice la Costituzione italiana, degli studenti capaci e meritevoli provenienti da famiglie non agiate.

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